04. Leviatano, Paul Auster
Nessuno può dire cosa dà origine a un libro, tantomeno la persona che lo scrive
Se ho fatto tutto bene, nel momento in cui questa newsletter è arrivata nella tua casella di posta, io stavo dormendo, a New York, in una stanza d’albergo che nel momento in cui sto scrivendo posso solo immaginare. Ѐ il primo giorno di maggio, oggi. Un anno fa ero nella mia casina milanese, aprivo gli occhi alle 9 e mezza, più o meno, e trovavo un messaggio.
Io di Auster non sapevo ancora nulla. Era successo nella notte. Ricordo di essere poi andata a leggere quelle poche righe sulla sua morte che erano uscite qualche ora prima sull’Ansa e di essermi commossa, poi poco altro.
Avevo già deciso che avrei dedicato il quarto numero di Antiterra a Leviatano e a Paul Auster, perché in qualche modo mi piaceva l’idea che la newsletter che sarebbe arrivata dall’America parlasse dello scrittore che più di tutti me l’ha fatta sognare, ma poi rileggendo vecchie chat in questi giorni ho realizzato che quello che per te che leggi era ieri, il 30 aprile 2025, segna anche la conclusione del primo anno senza di lui sulla Terra. Auster avrebbe amato questa serie di coincidenze.
“Il caso crea degli schemi. E questi schemi sembrano dotati di significato, ma sono arbitrari” diceva lui stesso in un dialogo con I. B. Siegumfeldt, conversazione che Einaudi ha ripubblicato in Italia con il titolo Una vita in parole. Cercare e attribuire significati in queste sequele di casualità è una cosa che ho fatto spesso, trovandola oltremodo consolatoria, e andando contro ogni mia tendenza pragmatica. In qualche modo, però, non mi riesco ad arrendere al fatto che sia tutto soltanto arbitrario, puramente arbitrario. Immagino che sia dovuto al mio testardo ottimismo.
Anche Leviatano, libro che Paul Auster scrive tra il 1990 e il 1991, prende il via da una serie di casualità - una rubrica telefonica persa e ritrovata, una caduta da un palazzo che avrebbe potuto essere fatale e non lo è stata, la decisione apparentemente immotivata di prendere la strada meno battuta, una scorciatoia -, casualità in parte autobiografiche, spesso realmente accadute ad altre persone. A partire da casi fortuiti, ne è uscito il libro più apertamente politico della sua produzione, un romanzo sul clima politico-culturale americano tra il 1950 e il 1990 e sulla generazione che questo contesto l’ha vissuto in prima persona. È un bel libro. Di più: un ottimo libro, lo consiglio molto.
Ma ciò che ho trovato più divertente, e affascinante, è un altro aspetto: che il caso non è solamente il motore della vicenda dentro la narrazione, perché è un caso stesso che Leviatano sia oggi un libro, nella realtà al di fuori della finzione romanzesca. Inizialmente doveva essere un film. Nel 1989, più o meno, Auster era stato contattato dal regista Michael Radford, che voleva lavorare insieme a lui a un progetto cinematografico che prendesse spunto dall’esperienza di una sua amica, l’artista francese Sophie Calle, la quale aveva realizzato un’opera d’arte a partire da una rubrica degli indirizzi smarrita.
La storia è questa, velocemente: qualcuno aveva perso una rubrica per le strade di Parigi, Sophie Calle l’aveva ritrovata e aveva deciso di ricostruire l’identità della persona a cui era appartenuta attraverso la voce delle persone i cui numeri e/o indirizzi erano appuntati esattamente tra quelle stesse pagine. Per un mese era andata avanti a pubblicare su Libération un’intervista al giorno con le persone che era riuscita a rintracciare, ma quando il proprietario della rubrica, Pierre D., si era reso conto di cosa stesse accadendo, non l’aveva presa bene. Aveva chiesto, come eventuale risarcimento, che Sophie Calle pubblicasse una propria foto nuda sul giornale, come probabilmente nudo doveva essersi sentito lui, ma alla fine non se n’era fatto più niente. Semplicemente l’opera non poteva più essere pubblicata, fino alla morte di Pierre D. Pare un romanzo, ma è successo veramente. Oggi è diventata un libro, si può comprare.
Sophie Calle ha ispirato il personaggio di Maria Turner, intorno al quale girava tutta la sceneggiatura del film, che però - lo dice Auster stesso - era venuto fuori “molto torbido e sexy”, ed era stato rifiutato da tutti. Ma il personaggio ormai era stato tratteggiato, e confluì, con tutta una serie di altri dettagli, nel libro che iniziò di lì a breve a scrivere.
Andando a leggere qualcosa di più sull’opera e la produzione di Sophie Calle (che non conoscevo assolutamente, e invece è stata una delle più influenti artiste francesi del secolo scorso) ho scoperto che le performance artistiche inventate da Auster e attribuite nel libro a Maria Turner sono state poi messe in scena dalla stessa Calle, mischiando nuovamente realtà e finzione e a un nuovo, ulteriore livello. Nel libro, Maria Turner segue un regime alimentare cromatico che consiste nel cibarsi di alimenti di un unico colore ogni giorno; Sophie Calle si impone la stessa dieta. Maria vive intere giornate secondo una specifica lettera dell’alfabeto; lo stesso fa Calle. Anche questa esperienza è documentata in un libro, Double Game.

Se da un lato quindi Sophie Calle è il modello per Maria Turner, dall’altro Maria Turner diventa il doppio immaginario attraverso il quale riguardare al proprio percorso artistico con nuova consapevolezza, e al tempo stesso la fonte di un’ulteriore ricerca sul sé. L’ultima parte di Double Game, Gotham Handbook, documenta i tentativi di Calle di “diventare” un personaggio di fantasia, seguendo le istruzioni su “come migliorare la vita a New York”, scritte per lei, dietro sua richiesta, da Auster.
Questa cosa del tentativo di trasformarsi in un personaggio di fantasia, costantemente in equilibrio tra la biografia e la finzione, è qualcosa che torna spesso anche nei libri di Paul Auster. Non li ho letti tutti, ma quasi tutti sì, e fin dall’inizio il gioco più divertente è stato quello di riconoscere, sotto camuffamenti più o meno elaborati, la trama sottile di una vita che ho imparato a conoscere alla perfezione, anche se esclusivamente per come l’ha raccontata, la sua. So di conoscere perfettamente soltanto ciò che Paul Auster ha voluto condividere, e di assistere in questo senso a un ulteriore messa in scena pseudo letteraria e parziale di un’esistenza che non ho potuto - e non potrò mai - davvero afferrare. Ma non importa.
Negli anni, soprattutto dopo aver letto 4 3 2 1, mi sono impegnata in una ricostruzione minuziosa di tutti i fili che, sotterraneamente, collegano una produzione vasta, in apparenza anche molto varia, dai memoir alle detective stories ai romanzi alle biografie, e mi sono entusiasmata come un detective a un passo dalla risoluzione del caso nel riconoscere dettagli minuscoli - un nome, una iniziale -, riferimenti blandissimi. Ho esultato nel ritrovare indirizzi reali, anagrammi di nomi di persone vere, episodi rimaneggiati e duplicati, ho pensato di essere davvero vicina alla comprensione di un segreto senza nemmeno sapere quale rivelazione stessi cercando.
In Trilogia di New York scriveva: “Diciamo sempre che bisogna penetrare in uno scrittore per meglio capirne l’opera. Ma se ci si spinge veramente a fondo, non c’è molto da scoprire… perlomeno, c’è poco di diverso da ciò che troveremmo in chiunque altro”.
Non sapevo nulla del Paul Auster scrittore, ma mi sono spinta veramente a fondo. Più di così, in effetti, non potevo fare, e non ho scoperto niente, nulla di più di quello che avrei trovato in chiunque altro. Ma ho imparato tutto del Paul Auster narratore, e questo già mi pare qualcosa, per poter dire che al Paul Auster uomo ho voluto (voglio ancora) profondamente bene.